Cinema d'essai (di Rita Pani)
E ricordatevi compagni, che la Rivoluzione in Italia deve essere prima culturale. È una frase che tra noi – compagni – ci diciamo spesso da anni, persino da quegli anni in cui non era sospetto mostrare una certa passione per la cultura, fosse essa la poesia o un bel film con il dibattito che non seguiva mai, perché mentre passavano i titoli di coda, tutti si era finiti da qualche parte ad infrattarsi. I tempi sono cambiati, e mi secca ammettere una certa nostalgia, come mi secca riconoscere che a parte qualche esempio sconosciuto ai più, l’ultimo cinema culturale di massa, italiano, è in bianco e nero e non per scelta cromatica del regista, ma per raggiunti limiti di età.
L’altro giorno leggevo che il ministro poeta ai beni culturali, servo bondi, ha promosso con riserva l’ultimo “cinepanettone” a film di interesse nazionale culturale. Per intenderci è uno di quei film in perfetto stile berlusconiano, nei quali spesso si possono ammirare anche le ragazze che hanno sostenuto i provini a Villa Certosa, carichi di scorregge, tette, culi, doppi ma anche tripli sensi, corna e chi più ne ha più ne metta. Insomma, se il dine panettone dovesse alla fine avere i requisiti, a breve potremmo ritrovarlo proiettato nelle piccole sale che a morsi difendono la loro sopravvivenza e il diritto di proiettare quello che una volta, e a buon titolo, si chiamava “Cinema d’essai”. Rientrare nel cinema di qualità, tra l’altro, significa anche favorirlo in un periodo di difficoltà evidente per mezzo di molte agevolazioni fiscali, oltre che aprire le porte a qualche premiazione e anche, tal volta, alla ricezione di danaro pubblico. Sembra che uno dei requisiti fondamentali, per accedere alla tutela ministeriale sia anche il responso del botteghino.
Spero davvero che non basti solo quello, e spero – non mi sono informata – che nel cast non ci sia davvero una delle fidanzate del papi, perché sarebbe davvero la fine dato che nonostante la crisi, l’ultima boiata natalizia in soli due giorni ha già guadagnato tre milioni e mezzo di euro.
Quindi, come si diceva tra compagni, iniziare da una rivoluzione culturale non sarebbe poi un’idea così peregrina, e soprattutto ricominciare a parlare di cultura, non dovrebbe essere vissuto “dalla massa” come qualcosa di sconveniente da fare nel chiuso delle proprie mura, per non rischiare di essere beccati da chi potrebbe fraintendere. Parlare di cultura, dovrebbe tornare a essere una cosa piacevole da fare, scordando i retaggi di un ventennio di televisione berlusconiana (sotto egida piduista) che ha stravolto il senso banale delle cose. In fondo avremmo dovuto sospettare da quando per la prima volta provarono a indurci all’ilarità forzata, con quelle risate registrate durante i telefilm o la falsa satira nei programmi confezionati dalle reti berlusconiane. Sapere (essere colti) infatti, può anche provocare cupezza.
Io intanto mi consolo: se il cinepanettone diventerà "cinema d’essai," un giorno o l’altro a me daranno il Nobel.
Lun alle 23.56
sabato 26 dicembre 2009
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